La realtà intorno a noi

 

 

1. Premessa: la radioattività della Materia.

2. La disinformazione.

3. I criteri di indagine.

4. Un Universo di Materia.

5. La Materia secondo la scienza.

6. La Materia vivente e non.

7. La Materia: perché?

8. La Materia: l’inizio.

9. La Materia: la fine.

10. La risposta.

 

 

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1. Premessa: la radioattività della Materia.

La radioattività (e la conseguente emissione di radiazioni ionizzanti, potenzialmente dannose) è una caratteristica naturale della materia, ove più ove meno. Nel primo periodo dopo la formazione della Terra la quantità di radiazioni ionizzanti sulla sua superficie era assai maggiore, tale da non permettervi, insieme ad altre cause, la nascita della vita. Con il decadimento e in conseguenza di casuali lente modificazioni (ad esempio nella composizione dell’atmosfera, con la formazione di un campo magnetico etc.) la situazione col tempo si è modificata e anche le radiazioni diminuite; a partire da circa cinquecento milioni di anni fa anche sulla superficie solida del pianeta si è gradualmente instaurata la vita, prima vegetale poi animale.

Tuttora un discreto numero e quantità di isotopi radioattivi sono presenti nel nostro pianeta, distribuiti abbastanza uniformemente; altri ancora provengono in continuità, direttamente o meno, dallo spazio esterno. Questo fa sì che l’ambiente in cui viviamo (noi e le altre forme di vita) sia pervaso in modo ineliminabile da radiazioni ionizzanti.  Il livello di queste è però fisicamente tollerabile, perché moderato da alcune protezioni planetarie e perché gli organismi viventi ci si sono assuefatti mettendo a punto, con l’evoluzione, caratteristiche di difesa.

Il gas radon è la componente maggioritaria di questa radioattività: è presente in quantità nel sottosuolo e da lì in piccola parte invade l’ambiente esterno. Il nostro organismo è in grado di difendersi dalle sue radiazioni, a condizione che le situazioni rimangano a livello naturale.

Realmente non è corretto utilizzare la parola “inquinamento” nel caso della presenza del radon. Infatti di inquinamento si può parlare solo quando in un luogo si riscontri una concentrazione innaturale, o meglio insolita, di qualcosa e quindi quando occorra e sia possibile una azione di bonifica per riportarlo in condizioni imperturbate. Non è questo il caso del gas radon; la sua presenza continua, distribuita e permanente è naturale e la bonifica non è quindi possibile. Se ne possono solo mitigare le concentrazioni anomale.

La capacità degli organismi viventi di non essere danneggiati dalle radiazioni ionizzanti non è uniforme. In effetti o per motivi derivanti dalla specifica costituzione fisica o per la diversa storia evolutiva ci sono organismi con capacità di resistenza quasi incredibili. Ad esempio il phylum di animali invertebrati chiamati nematodi, ricco di varie specie di vermi cilindrici, risulta, da alcuni studi portati avanti sugli organismi viventi nella zona più inquinata di Chernobyl, incredibilmente più resistente alle radiazioni di noi. Anche il batterio Deinococcus Radiodurans è uno degli organismi più radioresistenti conosciuti; è una specie in grado di resistere a dosi di radiazioni di gran lunga superiori a quelle necessarie per uccidere un qualsiasi altro animale. Se una dose di 10 Gray di radiazione ionizzante è sufficiente ad uccidere un essere umano, il D. Radiodurans non perde la sua vitalità anche sottoposto a 15 000 Gray. La resistenza di questo batterio è dovuta sia al possesso di copie multiple del genoma, che al rapido meccanismo di riparazione del DNA nell’arco di 12 – 24 ore, senza inoltre introdurre un numero di mutazioni superiore alla replicazione ordinaria. Non si comprende quale possa essere stata la pressione selettiva che abbia potuto dare questo vantaggio (un’antica provenienza aliena?). Analoghe considerazioni si possono fare analizzando le straordinarie capacità di resistenza alle situazioni ambientali estreme di alcune specie (tra circa un migliaio) del phylum dei Tardigradi. Pare che sopportino dosi di radiazioni gamma fino a quasi mille volte il limite letale per gli esseri umani.

Tornando a noi, il problema sanitario nasce quando vi siano ambienti ove il livello di radiazioni ionizzanti supera i valori naturali: in quel caso non siamo più attrezzati e, magari senza saperlo, andiamo incontro a gravi danni. Nel caso del radon questi sono alcuni ambienti costruiti dalla nostra civiltà: da quelli sotterranei come gallerie, miniere, metropolitane a quelli particolari come le terme, o a quelli costruiti in superficie, ma senza più i necessari accorgimenti tipici dei tempi passati o scaturiti dalle attuali conoscenze tecniche, o quelli semplicemente costruiti colpevolmente male. Nel contrastare la presenza del gas, invece che di bonifiche si parla inoltre di mitigazioni in quanto il suo azzeramento non è tecnicamente possibile.

In conclusione, il radon è un gas naturale radioattivo e cancerogeno la cui progenie causa annualmente un gran numero di carcinoma polmonari; di questi circa 20.000 nell’Unione Europea e 3500 in Italia.
Fortunatamente non è difficile individuarlo, misurarlo e difendersi, ma occorre sapere come: è quindi soprattutto una questione di informazione.

A livello di opinione pubblica in Italia, ma certamente non solo qui, si riscontra un’ampia ignoranza su questo tema: la maggioranza di noi ne è totalmente all’oscuro, una minoranza ne ha sentito parlare confusamente oppure è in possesso di qualche informazione, ma generalmente errata. Eppure non mancano fonti preparate e aggiornate sull’argomento, anche accessibili senza grandi difficoltà.

Essendo un fenomeno che ha un discreto impatto sulla nostra salute e sopravvivenza è ovviamente compito delle autorità politiche, e non, gestirlo opportunatamente. Purtroppo questo è avvenuto solo con grande fatica e dietro la costrizione altrui. Malgrado oramai da decenni esista la chiara conoscenza e consapevolezza, a livello scientifico, del problema, delle sue specificità e dei suoi rimedi, nel nostro paese si è fatto molto poco e con quasi nessun pratico vantaggio.

Dopo analisi e riflessioni pluridecennali e una lunga serie di norme, raccomandazioni e disposizioni di legge di Organismi Internazionali, nel 2013 l’Unione Europea ha emesso un’ultima ampia Direttiva sull’argomento (Direttiva 2013/59), vincolante per gli stati membri.

L’Italia l’ha recepita solamente il 31 luglio 2020, quando oramai risultava avviata una procedura di infrazione che aveva portato la Commissione europea a comunicarci la messa in mora formale ed infine, il 25 luglio 2019, a deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea per mancato recepimento.

Il Decreto Legislativo finalmente emesso non era comunque corretto e due anni dopo è stato revisionato con un altro, entrato in vigore il 18 gennaio 2023. Il nuovo Decreto, al suo interno, rimandava la definizione delle attività da svolgere a quanto indicato in un successivo Piano Nazionale D’Azione per il Radon (PNAR) che è stato a sua volta pubblicato nella G.U. il 21 febbraio 2024.

Con queste premesse non c’è pertanto da meravigliarsi che gran parte delle autorità sottostanti, che erano incaricate di mettere in pratica e gestire quanto normato, abbiano accolto il Decreto e il PNAR con burocratica lentezza e religioso silenzio, malgrado il Decreto Legge 69 del 13 giugno 2023, ne abbia finanziato le attività con due fondi per un totale di 120 milioni di Euro, spalmati sugli anni 2023- 2031.

Ma perché questo?

Le autorità locali e quelle sanitarie sono sempre state restie ad occuparsi di questa problematica, ritenendo, a torto, che fare luce su di essa creasse solo problemi, tensioni, perdita di consenso e presunti danni economici. Le obbligatorie attività promozionali di informazione sono tuttora mantenute sottotraccia e senza un effettivo risultato. Tanto è vero che tra di cittadini è veramente arduo trovare qualcuno consapevole; il comportamento più diffuso è quello di ignorare il fenomeno o comunque cercare di evitarne le incombenze e le possibili sanzioni: il “problema” radon è approcciato come quello di una nuova e sconosciuta gabella da scansare con l’evasione dei compiti o di nuovo anche con il negazionismo. Non ha importanza se ti vengono offerte soluzioni anche senza oneri, si cerca subito di fuggire.

Ricordo di una proprietaria che, di fronte alla scoperta che la propria abitazione aveva un’alta concentrazione di radon, invece di mitigarla (facilmente) ha preferito acquistarne un’altra dopo aver affittato la prima ad altri (ignari di tutto, dato che in Italia non esisteva obbligo di certificazione in proposito).

Il funzionario di una ASL, è arrivato ad indirette minacce se avessi portato aventi un’iniziativa di divulgazione sull’argomento radon nel mio paese.

Il sindaco di un altra località montana, che era stato costretto a programmare di effettuare misurazioni radon nel paese, ha cancellato l’iniziativa appena saputo che l’asilo ne era pieno (alcuni anni dopo per contrappasso è deceduto per tumore).

Ecc. ecc..

Tutti comportamenti alla fine solo autolesionistici .

In un aforisma. La radioattività e con essa il radon sono una componente della realtà intorno a noi, non un suo inquinamento. Caso mai l’anomalia l’abbiamo creata noi realizzando e utilizzando ambienti innaturali.

Quello del radon è un esempio delle conseguenze della disinformazione, ma per comprendere meglio il panorama della realtà intorno a noi occorre ampliare il punto di vista.

2. La disinformazione.

Lo stimolo a realizzare questo sito www.radongas.eu (inizialmente nato come un quaderno di note ad uso personale) è stato quello di contribuire a costruire informazione dove essa è in larga parte assente oppure deformata.

L’informazione, in tutte le sue forme, è importante ed essenziale per il funzionamento della nostra civiltà e la creazione di disinformazione (voluta e colpevole o causata dai nostri limiti culturali) è pertanto un fatto di estrema gravità. Non che ciò non ci sia stato già in altre civiltà del passato, ma non in modo così esteso come adesso.

A seguito della famosa battaglia di Qadesh del 1274 a.C. tra l’Egitto ramesside e le forze ittite di Muwatalli II, alla fine di un lungo periodo di belligeranza tra i due regni, entrambi le parti celebrarono con monumenti e scritti la propria vittoria e la sconfitta del nemico, tanto che tuttora esiste tra noi incertezza su chi effettivamente ebbe la meglio.  Oggi, nell’attualità del vicino conflitto nato dall’invasione dell’Ucraina, la produzione di disinformazione è una pratica massiccia e sofisticata: addirittura in Russia è reato affermare che esista la guerra. Per non parlare poi delle “fake news” di Donald Trump.

Le conseguenze della disinformazione sono molteplici: non solo danneggiano direttamente o indirettamente chi le subisce, ma creano anche un clima di incredulità e sfiducia verso la conoscenza della realtà e portano ad un comportamento di indifferenza nella prassi. Si colpisce infine il concetto stesso di educazione e quindi la base della civiltà.

Oltre al ruolo portante dei Social in questo settore, purtroppo la gran parte dei media e degli altri strumenti di comunicazione elargiscono disinformazione, non solamente in contesti eccezionali, come quelli di uno scontro bellico, ma in tutti gli ambiti. Certo spesso motivata o condizionata da motivi economici o ideologici, ma anche dalla nostra cultura, intesa in senso antropologico. Tanto che non solo la conoscenza delle cose, ma anche il livello di libertà e di libero arbitrio che possediamo ne è fortemente limitato. E’ per esempio ipocrita sottolineare che la nostra nazione sia gestita da un sistema rappresentativo basato su un sistema elettorale, quando i cittadini chiamati a quel compito sono non solo disinformati, ma anche ideologicamente manipolati.

Appare proprio quindi che siano le attività correlate al mondo della pubblicità l’immagine e la cifra caratterizzante della nostra civiltà.

La disinformazione esplicita e voluta o inconscia è una pratica continua e diffusa del nostro agire, giorno dopo giorno, nell’attività lavorativa, nello svago, nei rapporti con gli altri, verso noi stessi.

Il giornalista Michele Serra in un articolo del 13 maggio 2025 esprime bene il suo giudizio in proposito: “La natura fetida della disinformazione riflette l’anima nera dei sui artefici, che di mestiere avvelenano i pozzi ai quali si abbevera la parte meno protetta, meno privilegiata dell’opinione pubblica. Frodano e ingannano i deboli, quelli che non hanno i mezzi culturali e spesso nemmeno quelli economici per verificare le notizie”

Ovviamente esistono spazi, angusti, di strutture e di persone ove questa è fattivamente contrastata; dire quale impatto tali sforzi abbiano, lo valuti chi sa sfuggire alle trappole della soggettività.

In un aforisma. La disinformazione è la malattia mortale della società umana.

Vediamo invece come noi qui si riesca ad esaminare come stanno le cose intorno a noi.

3. I criteri di indagine.

Se vogliamo giungere a capire, dobbiamo prima definire i criteri da utilizzare nell’analisi.

La regola base sarà quella di evitare, quando si osserva e analizza la realtà, oltre ovviamente gli errori tecnico-scientifici, ogni sorta di pregiudizi: religiosi, superstiziosi, ideologici in genere, di genere, di specie o variamente culturali. Da tener conto anche che viviamo, e la nostra educazione ne ha risentito, in uno Stato non completamente laico, ma reso in certa parte confessionale da una legge (con valore superiore alle altre) costituita dai Patti Lateranensi tra lo Stato italiano e quello della Città del Vaticano, con il riconoscimento tra l’altro di quella cattolica come religione di Stato.

Questo intendimento di oggettività potrà essere considerato da una parte ovvio e dall’altra praticamente molto difficile. Si cercherà di superare questi ostacoli con riflessioni attente e oneste, di autoanalisi o di verifica e confronto con terze parti; ascoltando chi vorrà controbattere e suggerire.

Fino ad oggi le analisi sulla realtà, elaborate sia con strumenti scientifici che filosofici, sono state sovente ammalorate da preconcetti soggettivisti, se non addirittura da posizioni moralistico-religiose o ideologiche; questo anche dove e qualora si sia pensato di rimanerne esenti. Le conclusioni e i panorami prospettati sono risultati perciò falsificati, in modo talora anche colpevole. Nei pochi casi di sinceri tentativi di ricerca della verità (ad es. con il ‘De Rerum Natura’ di Lucrezio) è comunque quasi sempre rimasta una non eliminata ipotesi di supremazia di specie o culturale.

Non credo che sia facile spogliarsi da questi difetti, ma tanto vale provarci.

Viviamo oramai, dopo secoli di studio filosofico e sviluppo delle scienze in genere, una fase della nostra civiltà abbastanza ricca di conoscenze sul mondo che ci circonda, che forse ci possiamo permettere di affrontare questo obiettivo di indagine, pur con la consapevolezza di essere ancora lungi dal possedere una spiegazione a tutto tondo, completa e esauriente di quanto ci sta intorno. E’ un tentativo: ci sarà sempre tempo per le correzioni. Certo che ogni volta che un pregiudizio salta sul tavolo, qualcuno dovrà suonare una campanella di allarme.

In un aforisma. La ricerca può essere veritiera solo se è svolta lontana da sentimenti e ideologie.

4. Un Universo di Materia.

La prima cosa che possiamo fare è guardarsi intorno, con i nostri sensi e capacità intellettive: vediamo che siamo all’interno di una realtà che chiamiamo Universo.

Secondo un’attuale valutazione è che esso abbia un’età di circa 13,8 miliardi di anni, anche se alcune recenti osservazioni del telescopio spaziale James Webb la mettono in dubbio. Per quanto riguarda la sua forma e dimensione si ritiene che esso sia finito e si estenda per circa 93 miliardi di anni luce, per la sua parte osservabile. Lucrezio, come altri, riteneva l’Universo infinito in quanto non ne accettava la discontinuità ai suoi confini, ma andava così incontro ad una inaccettabile proprietà di illimitatezza non dimostrata da quello che vediamo e percepiamo (nulla pare abbia nella realtà cifre infinite).

L’Universo è in espansione accelerata per cause (pare) connesse alla presenza della materia e dell’energia oscura. Tale spiegazione, oramai vecchia di alcuni decenni, è per certuni dubbia non essendo dimostrata sperimentalmente in modo indipendente. Sono state recentemente elaborate ipotesi e spiegazioni differenti, per esempio da un team di astrofisici della Università di Canterbury di Christchurch in Nuova Zelanda con un modello cosmologico definito ‘timescape’ che afferma che l’apparente accelerazione nella espansione dell’Universo sia dovuta agli effetti relativistici sulla misura di spazio e tempo prodotti dalla distribuzione non uniforme della materia.

L’origine dell’Universo è poi descritta dalla teoria del Big Bang, qualunque cosa esattamente essa significhi. Infine non ci sono attualmente modelli e spiegazioni che illustrino la situazione precedente il Big Bang, né teorie condivise sul suo futuro.

Questo Universo è costituito da materia ed energia, per noi definibili come equivalenti dopo le teorie relativistiche di Albert Einstein. Chiamiamole quindi solamente Materia. Materia però che non è corretto immaginare riempia uno spazio vuoto preesistente, in quanto quest’ultimo è come una sua proprietà e che non esisterebbe senza di essa. Così come il tempo, che è solo la misura della modificazione della Materia. Senza di essa spazio e tempo non hanno senso. Lo spaziotempo, con le sue caratteristiche relativistiche e gravitazionali gli va dietro concettualmente. Certo che se spazio e tempo sono attributi della Materia non pare chiaro come determinare dimensione ed età dell’Universo, se non per la sua parte osservabile.

In un aforisma. Intorno a noi c’è un Universo di Materia, solamente Materia, ed ovviamente noi ne facciamo parte. Lo spaziotempo ne è un attributo. La nostra osservazione non ci dice altro e nulla di quanto osserviamo contraddice questo assunto. Non abbiamo risposte invece sui perché.

5. La Materia secondo la scienza.

La scienza ce ne dà una descrizione estrinseca: fornisce le misure delle sue proprietà, descrive i fenomeni che la coinvolgono e cerca di prevederne le modificazioni. Non ne rivela però la intrinseca essenza. Quest’ultima la si potrebbe investigare solo qualora si potesse individuarne una coscienza, di esistenza e magari di volontà, con una interpretazione filosofica panpsichista della realtà. Ovviamente interessante ma non condivisa.

La Materia, secondo una nostra descrizione chimico-fisica, è costituita da elementi che si presentano in forma molecolare e dai loro composti più o meno complessi. Sono gli stessi in tutto l’Universo (per quanto si sa ad oggi), ma distribuiti in modo quantitativamente diverso.

Dei 118 elementi attualmente conosciuti, 96 sono di origine naturale: sono i primi 97 della tavola degli elementi, dall’idrogeno al berkelio ad eccezione del promezio (numero 61) che è solo sintetico (artificiale). I successivi 21 sono tutti e solo sintetici. In effetti la produzione sintetica di elementi la si potrebbe comunque definire naturale in quanto anche l’uomo può essere visto come una causa naturale.

L’ultimo, l’elemento 118, è stato chiamato oganesson ed è stato sintetizzato la prima volta in Russia nel 2006. Dalla sua posizione nella tavola periodica degli elementi si ricava che è un gas nobile, dunque il più pesante e in effetti ha una enorme densità di circa 5 [gr/cm3]. Viene dopo il radon (numero 86) nella colonna di questi gas e ci si potrebbe aspettare che gli somigli chimicamente.

Gli elementi naturali sono originati, direttamente o indirettamente, da materia stellare.

Le molecole degli elementi sono formate da atomi (come aveva già capito Democrito). Gli atomi di un elemento sono caratterizzati dal possedere lo stesso numero atomico Z (da 1 a 118), che li identifica e indica il numero di protoni all’interno del nucleo. Esistono in più varietà dette isotopi: atomi dello stesso elemento, stesso numero Z, che però hanno un numero differente di neutroni e quindi anche un numero di massa A (protoni + neutroni) differente. Un elemento può essere caratterizzato da più isotopi, stabili o radioattivi. Questi ultimi decadono nel tempo trasmutandosi in altri più stabili, quindi la loro concentrazione naturale diminuisce sempre più col tempo. Tutti gli atomi hanno isotopi radioattivi. Solo 80 hanno isotopi naturalmente stabili (i primi 82 della tavola ad eccezione del tecnezio e del promezio). La Materia è normalmente radioattiva: non esistono elementi che non abbiano isotopi instabili e quindi radioattivi. Anche quelli naturalmente stabili poi sono soggetti a trasmutazioni indotte dall’ambiente. Nessun atomo nell’Universo ha la certezza di rimanere inalterato e immutabile (come già aveva scritto Eraclito). Lo stesso vale per le particelle costituenti l’atomo, per quanto sappiamo attualmente.

Come detto, la distribuzione degli elementi nell’Universo è casuale e disomogenea. L’idrogeno, ad esempio, il più diffuso, forma più del 92% del volume della nostra stella, ma come elemento praticamente non esiste sul nostro pianeta, la cui atmosfera ne contiene solo 0,00005 %, con buona pace di coloro che vorrebbero utilizzarlo come fonte energetica.

In un aforisma. La Materia è forse eterna perché il tempo non le è esterno, ma non inalterabile in quanto radioattiva, soggetta a trasmutazioni e ad altri processi; la descrizione scientifica ne illustra le proprietà e i fenomeni che la coinvolgono, in modo che sia per noi più comprensibile, ma non il suo perché intrinseco.

Una conferenza in un auditorium

6. La Materia vivente e non.

Dunque intorno a noi vediamo una realtà formata da un Universo di Materia, costituita da più elementi, che si aggregano in molti composti o rimangono talora in forma semplice (molecolare, atomica o altro).

Sul nostro pianeta, dove peraltro quasi tutti gli elementi naturali sono presenti, osserviamo che una parte dei composti costruisce quelli che chiamiamo “organismi viventi”. Che cosa sono e perché li pensiamo differenti?

Storicamente la chimica ha diviso i composti in organici (in biologia sinonimo di viventi) e inorganici; i primi sono alcuni dei composti del carbonio, i secondi li chiamiamo anche minerali. E’ però una classificazione inesatta e fuorviante. Innanzitutto il carbonio da solo non è sufficiente alla realizzazione di materiale vivente, per questo occorrono anche altri elementi. Poi ci sono composti del carbonio non “organici”, non costituenti di organismi viventi, ed altri composti invece che lo potrebbero essere (magari in ambienti differenti) senza contenere carbonio. Essenzialmente il carbonio si è solo rivelato molto adatto per la formazione di molecole organiche, per le sue caratteristiche chimiche e la sua ampia diffusione sul nostro pianeta; ma la vita non coincide con questo elemento, se ne è solo servita. Soprattutto non è questa la caratteristica dirimente di un organismo vivente.

Questa spiegazione chimica della vita è nata da un nostro preconcetto ideologico che cercava di trovare in parte della Materia una eccezionalità che la rendesse diversa e magari superiore.

Gli elementi fisici (i mattoni) costituenti gli organismi viventi sono invece gli stessi dei minerali. Sarebbe infatti anomalo e causalmente immotivato che all’interno della Materia esistesse un sottoinsieme qualitativamente diverso.

Osservando meglio, vediamo che (quello che chiamiamo) un organismo vivente è caratterizzato da alcune caratteristiche fisiche e comportamentali come la capacità di riprodursi, di nutrirsi, di crescere, di muoversi o anche di possedere una forma di coscienza, di intenzionalità eccetera, per tutto il tempo in cui è vivo. Per non parlare di fenomeni secondari ma molto caratterizzanti come quello della emissione fotonica ultradebole, emessa forse dai mitocondri cellulari. Tutte caratteristiche che non ha prima di nascere o dopo la morte, pur rimanendo materialmente identico.

Sono proprietà sue tipiche, talvolta tutte presenti altre volte no, ma che non lo definiscono univocamente; talune  possono anche essere presenti altrove.

Quello che lo identifica è invece la sua capacità di omeostasi. Ogni organismo vivente, dal più elementare essere unicellulare ai più grandi o complessi, la possiede, ovviamente con ampia varietà tipologica: ma se non la ha non è (per noi) vivente. La sua origine nei primi organismi viventi è stato un processo complesso che ha portato ad un suo innesco casuale. Le prime molecole organiche potrebbero aver avuto proprietà chimiche favorevoli alla loro stabilità e autoorganizzazione, consentendo loro di regolare le proprie condizioni interne. La selezione naturale infine può aver favorito l’evoluzione dei meccanismi di regolazione e consentito agli organismi di mantenere l’omeostasi.

La durata di vita, per un siffatto organismo, è una breve parentesi nell’ambito del periodo di esistenza della materia con cui è fatto, che è ben più lungo. La vita rappresenta un’eccezione, provocata da qualche casuale circostanza, nel corso dell’esistenza di quella parte di materia.

Per una porzione di materia, fatta con gli stessi elementi delle altre e in circostanze ambientali simili, è scattato il meccanismo di omeostasi, che poi si è spento. Il tutto casualmente, per breve tempo e con frequenza rara, visto l’insuccesso riscontrato fino ad ora nell’individuare forme di vita aliena nella parte di Universo per noi investigabile.

E’ comunque un fatto che, mentre in una qualunque porzione inorganica di Materia, se isolata dall’ambiente circostante, il valore dell’entropia e quindi del disordine non può che aumentare dando così una direzione ed una misura del tempo che ne accompagna la trasformazione, in un organismo vivente questo non avviene, e le sue due forze guida (omeostasi e entropia) appaiono contrastarsi per quel breve periodo di vita, fino alla inevitabile sconfitta della prima.

Dunque tutti gli organismi viventi, da quelli unicellulari ai più complessi, pur se formati dalla stessa Materia degli altri, seguono il principio della omeostasi. Si può dire che funzionano seguendo, e anzi copiandosele, varie e simili soluzioni fisiologiche, financo a realizzare culture, a loro funzionali e integrabili con i rispettivi ambienti. Ovviamente in modo quantitativamente differente e diversamente articolato e variegato; tutti però hanno sviluppato un sistema nervoso con capacità cognitive, funzionale al loro mondo.

Tutti gli esseri viventi sono qualitativamente simili e posseggono una coscienza di sé, più o meno sofisticata. Quelle che noi riteniamo essere differenze ontologiche tra di loro e quindi tra noi e loro, sono il prodotto di disinformazioni o ideologie, forse in parte naturali e inevitabili, ma spesso colpevoli e ingiustificate.

Non potrebbe essere altrimenti date le premesse univoche e il medesimo ambiente. Le differenze fisiologiche originano dalle diverse storie e casualità esistenti, amplificate e selezionate dalle ramificazioni della selezione naturale.

Per non parlare delle corrispondenze e similitudini con quelli che abbiamo chiamato composti inorganici.

Eventuali organismi viventi sviluppati in ambienti alieni, o comunque molto differenti, occuperanno le altre possibilità del reale, e, pur sempre obbedendo alle stesse regole di base, saranno verosimilmente dotati di sistemi nervosi, cerebrali, di forme di coscienza e di menti.

L’innesco del meccanismo di omeostasi che determina un periodo di vita di un organismo formato da una porzione di Materia ci ricorda che esistono anche altri eventi similari, altre casuali catene di eventi che coinvolgono porzioni di Materia e che conducono a situazioni che paiono ma non sono vive, e che chiameremo “attive”. Il caso che determina queste ha determinato anche quelle.

L’innesco di queste situazioni attive, minoritarie, non ci deve comunque sorprendere, in quanto fisicamente possibili e quindi realizzabili nella casistica del reale. Esse ci fanno meglio comprendere quella dell’esistenza degli organismi viventi. Tutti sono casuali e coinvolgono la stessa iniziale Materia. Le prime rispettano anche l’omeostasi, le seconde no.

In queste situazioni attive compaiono alcune di quelle caratteristiche che abbiamo visto prima essere tipiche degli organismi viventi, in modo tale da farle apparire sedi di vita, tanto che in altri tempi ed in altre società hanno dato spunto alla creazione di credenze, miti e deificazioni della natura. E forse anche ai nostri tempi.

La caratteristica forse più appariscente di un organismo vivente è la sua mobilità. Un oggetto non vivente lo pensiamo usualmente fermo: un sasso non dà segni di vita! Una delle cose più mobili è il vento. Una tempesta di vento che si abbatte su una foresta o sul mare, con lo spettacolo che ne consegue, sembra celare uno spirito vitale. In molte culture al vento gliene viene assegnato uno, magari soprannaturale, e con un appellativo divino e potente. Tutto perché non solo si muove, anche violentemente, ma anche perché muove ciò che colpisce. L’effetto dei fenomeni fisici dinamici causati dal vento è a sua volta causa di altri movimenti e anche di fenomeni complessi. Come il respiro degli esseri viventi è anch’esso un soffio che simboleggia la vita, che non c’è in un organismo morto. Il vento è attivo, ma certo non vivente. L’ossigeno che respiriamo è alla base della nostra vita, ma non è lui stesso vivo.

Che cosa fa nascere e terminare questa situazione attiva (il vento, l’ossigeno)? Il caso; lungo il percorso della Materia verso il massimo disordine. Senza omeostasi ovviamente.

Una valanga lungo il fianco di un pendio si innesca perché forse un primo movimento casuale di un masso, in una circostanza ambientale già squilibrata, causa un effetto che è a sua volta origine di altri movimenti. E così il fenomeno si accresce e si autosostiene per un certo periodo di tempo, divenendo anche un grande evento con conseguenze macroscopiche che modificano il territorio. Difficile non comprendere che per certuni abbia un significato vitale. Anche oggi si dice che la montagna non perdona!

Diciamo che è un fenomeno attivo sì, ma senza vita. L’origine è casuale, l’innesco è di nuovo la controreazione tra effetti e cause.

Uno tsunami in fondo è una fenomeno simile. Casuale e senza finalità, ma che devasta oltre che il territorio anche la nostra psiche. La civiltà Minoica ne è stata annientata intorno al 1600 a.C.. Non solo per l’impatto fisico che ha subito ma anche per  il terrore in cui ha gettato una popolazione che ha ritenuto di trovarsi di fronte all’ira di un essere soprannaturale.

I fiumi sono spesso stati personificati; in effetti sono stati l’origine di vita e di civiltà. Solo perché favorendo processi biologici e con il loro movimento, apparentemente interminabile, avevano alcune proprietà tipiche degli esseri viventi.

Il fuoco non è altro che un fenomeno di ossidazione di materiali combustibili innescato, magari casualmente, da un’apporto di calore iniziale e poi in grado di autosostenersi, anche a lungo e in modo molto appariscente. Porta calore e indubbiamente è alla base della vita di cui è simbolo. Anche qui in realtà si ha solamente una controreazione positiva tra il calore emesso dalla combustione (ossidazione) e l’aumento di temperatura conseguente che mantiene attivo il fenomeno.

I meccanismi di risonanza (o anche di eco) sono tipici esempi di controreazione positiva: l’effetto di un movimento aleatorio è causa dello stesso in modo così spettacolare da lasciare stupefatti. Non sono ovviamente organismi viventi, ma solo eventi casuali attivi che seguono le leggi della meccanica o della fluidodinamica, ma somigliano molto ad esseri viventi.

Lo stesso può apparire una reazione a catena nucleare o addirittura una stella che splende per miliardi di anni, o altri fenomeni astrofisici che pur essendo l’origine degli elementi dell’Universo e quindi della vita sono solamente attivi.

Noi consideriamo queste situazioni attive non viventi, ma la casualità della loro origine è similare a quella della omeostasi. Tutte sono porzioni di Materia che occupano varie nicchie possibilità dell’esistente senza differenze ontologiche o di altro tipo. E’ il nostro punto di vista (superstizioso, mitico, ideologico o solamente ignorante) che ci fa vedere in quella porzione di realtà un diverso livello qualitativo che invece non c’è, confondendo la complessità di una situazione con una differenza sostanziale.

La soggettività fa credere ai cavalli che il loro dio sia un cavallo (Senofane), alle querce una quercia, e a noi che siamo magari i re dell’Universo. Se non altro almeno “sapiens”.

In un aforisma. La Materia non presenta salti qualitativi nelle sue parti, anche in tutto l’Universo per quanto attualmente sappiamo. Gli organismi viventi e quelli che non lo sono posseggono tutti la medesima dignità ontologica; non ci sono eccezioni. Siamo un pezzo di Materia, casualmente omeostatica, come altri pezzi sono casualmente attivi ed altri no, secondo le possibilità del reale.

7. La Materia: perché?

Siamo giunti ad un quesito fondamentale. Perché intorno a noi c’è la Materia, organizzata in uno o più Universi?

E’ d’obbligo una risposta nel rispetto dei criteri di indagine che ci siamo dati. Innanzitutto: siamo in grado di farci questa domanda? Ne abbiamo gli strumenti, anche intellettivi? La domanda è logicamente ponibile?

Per svolgere una ricerca e porre un quesito occorre, tra l’altro, poter essere anche fuori da esso, conoscerne le condizioni al contorno, il contesto, uscirne e capire che cosa esso significhi e implichi, non per noi, ma per lui stesso, per risolverlo.

Sulla tavola degli scacchi il cavallo di re bianco si rivolge all’alfiere di re suo vicino e gli chiede: perché ti muovi camminando sulle diagonali? Vedi che io invece mi muovo facendo il passo del cavallo. E chi sono quei personaggi neri di fronte a noi? Da dove vengono e…. perché?

L’alfiere ci pensa, ma non da’ una risposta.

Interviene il re al suo fianco: perché taci? Il nero è il nemico che dobbiamo combattere e sconfiggere per salvaguardare la nostra civiltà, i nostri valori, la vita! Non conta ora capire perché e da dove venga. L’alfiere di donna interviene e aggiunge che la nostra battaglia è voluta altrove e per questo saremo compensati. I pedoni allestiscono il campo intorno alle torri. La regina tace e avanza, non sola, ma accompagnata dai suoi pezzi.

Nessuno può rispondere alla domanda. Solamente il giocatore che sta fuori dalla scacchiera lo potrebbe fare, ma costui parla un’altra lingua.

Di fronte a quel quesito sulla Materia, noi siamo nella stessa situazione del cavallo di re sopra la scacchiera. Siamo al suo interno, non conosciamo, perché non ne abbiamo gli strumenti, le condizioni al contorno, le alternative che girano intorno a questo quesito. Il nostro cervello è fatto di Materia, le nostre capacità cognitive e le categorie di ragionamento vi si sono sviluppate dentro, è la nostra realtà, con i limiti conseguenti: non possiamo investigare possibili fatti e eventi ad essa esterni. I nostri concetti di spazio e tempo, categorie come causa ed effetto, identità, esistenza, limitazione etc. , formatesi nella nostra mente come strumenti per sopravvivere nella realtà circostante, perdono senso e non sono applicabili. La Materia non può quindi riflettere su se stessa con tal fine.

Noi, per poterlo fare, dovremmo uscire da questo Universo, se proprio non fisicamente, con uno strumento di indagine o delegando. Quale o chi? Anche un altra mente materiale, per esempio una IA, non sarebbe comunque fuori.

Il fatto è che è contraddittorio porci questa domanda; siamo allenati a investigare e risolvere problemi dalla nostra necessità di sopravvivenza all’interno delle alternative nella realtà. Qui però non siamo in questa situazione, perché la Materia non ha di fronte alternative di esistenza o meno e quindi non da’ gli strumenti per pensare, scegliere e quindi operare.

In un aforisma. Non possiamo interrogarci sulle ragioni dell’esistenza della Materia, non solo in quanto incapaci soggettivamente a farlo, ma perché non possiamo immaginare, e forse non ci sono, alternative ad essa. La Materia, se ne ha una esterna ad essa, non ci permette di conoscerla. Quindi certo possiamo indagare sulla sua forma, ma non sulla sua esistenza.

8. La Materia: l’inizio.

Si ritiene che l’Universo sia scaturito da un fenomeno chiamato Big Bang, circa 18 miliardi di anni fa (ipotesi e tempistica anche recentemente messe in discussione). Si può dire che quest’ultimo sia stato una discontinuità, sul prima della quale non ci si pronuncia; e correttamente visto che la variabile tempo non esiste dissociata dalla Materia. Dopo una prima rapida e complessa fase di inflazione, la Materia ha continuato ad occupare lo spazio prodotto. Energia e massa si sono strutturate ed evolute.

Attualmente lo spazio è occupato in modo non particolarmente disomogeneo (principio  cosmologico) dallo stesso materiale. E’ la Materia che nella versione solida è ovunque, e la stessa. Possiamo, per semplicità, parlare di atomi, anche se formati di particelle più elementari. Nati principalmente dentro fenomeni stellari, sono oggetto di trasmutazioni e altri eventi. Viaggiano nel cosmo aggregandosi e disaggregandosi lungo innumerevoli vicende, ma non si “consumano”. Quindi ogni oggetto (o anche organismo che diciamo vivente) intorno a noi è una aggregazione di atomi provenienti da lontano, casualmente riorganizzati in attesa di una successiva disaggregazione.

Sul nostro pianeta, formatosi circa cinque miliardi di anni fa intorno ad una stella di media grandezza, dopo circa un miliardo di anni, l’acqua è divenuta condensata e intorno a molecole inorganiche si sono aggregate semplici biomolecole di carbonio, ossigeno ed idrogeno: ambiente favorevole alla formazione di prebiotici e poi di protocellule. I primi potrebbero essersi generati  attraverso processi chimici naturali nell’atmosfera o con l’attività vulcanica e in genere con interazioni tra acqua e rocce. Le seconde, aggregati di molecole organiche prebiotiche, strutture cellulari primitive piene di acqua, posseggono membrane che separano l’interno dall’esterno e compartimenti di ambienti ove concentrare molecole e facilitare reazioni chimiche. Le protocellule sono caratterizzate da funzioni omeostatiche e in particolare capacità di replicazione.

L’omeostasi delle protocellule si è diffusa ed ha permesso, in situazioni favorevoli, la costruzione di organismi più complessi che hanno preso il posto dei precedenti oppure si è spenta con l’estinzione degli stessi. Un fortunato caso di eventi altalenanti con molte conseguenze, fino alla formazione di organismi unicellulari procarioti.

Dopo l’accidentale innesco della omeostasi e quindi dell’origine della vita, intorno a 4 miliardi di anni fa, gli organismi hanno occupato il nostro pianeta espandendosi lentamente fino alla grande esplosione di vita marina del periodo Cambriano. Infine, quattrocento milioni di anni fa, le migliorate condizioni ambientali sulla superficie asciutta fuori dalle acque hanno poi permesso che anch’essa venisse raggiunta.

Tutte le specie sul pianeta hanno seguito un percorso evolutivo che le ha viste occupare le nicchie ecologiche che via via si presentavano e che poi si concludeva con la loro estinzione. Percorso guidato da casuali opportunità determinate dalle condizioni ambientali. Queste ultime furono spesso e per lungo tempo avverse, talora favorevoli; uniformi per milioni di anni oppure separate da forti discontinuità.

Tra gli organismi viventi è stata fatta una classificazione in cinque Regni (semplificando: piante, animali, batteri, alghe e funghi). Quello degli animali è suddiviso in 47 Phylum, ognuno dei quali comprende organismi con uno stesso piano strutturale: dai Tardigradi ai Molluschi, agli Artropodi (il più numeroso), ai Nematodi (i vermi), ai Cordati etc. per un totale di parecchie milioni di specie, di cui solo 1,5 – 1,8 milioni attualmente conosciute.

Noi apparteniamo al Phylum dei Cordati, Subphylum dei Vertebrati, suddiviso in cinque Classi: pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. La Classe dei mammiferi è suddivisa in diversi Ordini, il nostro è quello dei Primati, con circa 15 famiglie: la nostra è quella degli Ominidi (generi Gorilla, Orango, Scimpanzé e Homo).

La Tribù degli Ominini comprende invece solo i generi Scimpanzé e Homo, più altri generi estinti (da Australopitheco, Ardipitheco, Kenyanthropo a Paranthropo e Orrorin etc). Al genere Homo hanno appartenuto varie specie, per esempio gli antichi Homo abilis, Homo ergaster, Homo erectus e Homo antecessor, il nostro probabile progenitore Homo di Heidelberg , le specie nostre “cugine” Homo di Neanderthal, Homo di Denisova, Homo naledi e infine il recente Homo floresiensis; tutte estinte ad eccezione della nostra, l’ultima sopravvissuta: Homo sapiens.

Le origini evolutive della specie sapiens sono oggetto di più di una teoria, oltre a quella di discendenza da Homo di Heidelberg, tutte di origine africana e in base al principio di coalescenza . Il modello dell’origine pan-africana con relazioni genetiche fra popolazioni del Sudafrica, del Marocco e dell’Africa orientale; oppure quello che individua due distinte linee evolutive separate, di un milione di anni fa, che si sarebbero ricombinate intorno a 300 mila anni fa.

L’attuale specie moderna del genere Homo potremmo definirla ibrida anche in quanto, analizzandola geneticamente, è un mix di specie che hanno continuato ad incrociarsi: sapiens + neanderthal + denisova + ….

Forse anche per questo, malgrado sia l’ultima specie sopravvissuta del nostro genere, non si è ancora estinta.

In un aforisma. La presenza della Materia, sul nostro pianeta ha significato quasi ineluttabilmente e ripetutamente anche quella della vita, pur se casuale e temporanea.

9. La Materia: la fine.

Gli organismi viventi che hanno abitato e abitano il pianeta sono stati e sono dunque fortemente dipendenti dal loro ambiente. Non hanno possibilità di sopravvivenza al suo variare. Se accadesse, per sopravvivere dovrebbero modificarsi radicalmente, e solamente se ne avessero il tempo biologico. I Vertebrati ad esempio devono la loro principale caratteristica strutturale alla presenza della gravità: senza di essa il loro scheletro tenderebbe a sciogliersi. Peraltro la presenza di un valore della gravità consistente ha condizionato tutta la biosfera.

Anche la nostra specie non avrebbe possibilità di sopravvivenza se solamente una delle attuali caratteristiche planetarie dovesse alterarsi: campo magnetico, presenza e composizione dell’atmosfera, valore del soleggiamento, movimenti planetari, flussi radioattivi, forze gravitazionali, modificazioni del mantello o del nucleo etc. Per non parlare poi di altri eventi provocati dai corpi astrali a noi vicini.

Parimenti non abbiamo possibilità di vita in ambienti extraterrestri. Anche solamente soggiornare al di fuori del nostro pianeta ci è letale, per non parlare di trasferimenti definitivi. E’ infatti praticamente impossibile, né vantaggioso, creare ambienti artificiali similari al nostro in tutti gli indispensabili aspetti. A ciò si aggiunga l’impossibilità di effettuare spostamenti astrali a causa delle distanze insuperabili. In pratica è possibile solamente il trasferimento di meccanismi robotici, e comunque solo nelle immediate vicinanze. La stessa impossibilità ad uscire dal proprio ambiente di origine varrebbe presumibilmente anche per eventuali organismi viventi alieni pur se tecnologicamente avanzati. Peraltro non abbiamo finora riscontrato alcun segno di altre civiltà aliene nella nostra galassia, malgrado essa esista da miliardi di anni. Una civiltà tecnologicamente avanzata che fosse sorta nella Via Lattea nei milioni o miliardi di anni passati avrebbe lasciato certamente, magari anche volontariamente, tracce di se stessa.  Nulla si può dire ovviamente per quanto riguarda le realtà extragalattiche.

Così come la nostra nascita, anche la nostra fine avverrà pertanto sul nostro pianeta. E’ la stessa cosa che è avvenuta a tutte le specie che ci hanno preceduto, anche se generalmente nel loro caso con molto maggior successo temporale, visto che dopo un paio di milioni di anni il nostro genere è in via di estinzione se comprende oramai solo una ultima specie residua. Verosimilmente la stessa vicenda deve essersi prodotta su altri corpi che abbiano ospitato forme di vita, visto che non ve ne sono tracce. Solamente la materia inorganica o prebiotica molto semplice ha mostrato la possibilità di compiere spostamenti galattici.

Il fatto che non vi siano tracce di vita aliena tecnologicamente evoluta intorno a noi, almeno nella nostra galassia, è un fatto rivelato non solo dalla loro assenza nel breve periodo di tempo in cui noi l’abbiamo investigata, ma tenendo conto dei lunghi eoni di tempo che loro hanno avuto a disposizione per lasciarle. E’ molto probabile che siamo soli nella nostra galassia, mentre per quanto riguarda fuori di essa nulla può attualmente essere detto.

Come sappiamo sono numerose le potenziali future cause della nostra estinzione, come specie. Oltre a quelle ambientali, che hanno determinato nel passato la fine delle altre, noi ne abbiamo arricchito considerevolmente il numero in modo tale da allargare la casistica delle probabilità.

L’eventuale sviluppo tecnologico ha forse accelerato l’estinzione anche in casi similari di civiltà aliene, tanto da non permetterne la contemporaneità tra di loro o con noi.

Abbiamo dunque visto che la Materia è costituita da aggregati di atomi distribuiti casualmente, seguendo comportamenti che noi abbiamo studiato e descritto con le leggi della fisica. Alcuni aggregati si sono distribuiti in scenari elementari, altri in scenari più o meno complessi o anche caotici, altri addirittura rappresentanti situazioni attive. In particolari circostanze alcuni si sono arricchiti di comportamenti omeostatici che hanno loro permesso di svilupparsi notevolmente a 360 gradi, in controcorrente con la crescita entropica, configurandosi come quelli che abbiamo chiamato organismi viventi. Certamente una situazione universalmente rara, peculiare e momentanea, destinata a terminare riportandoli (gli aggregati di atomi) sul loro ineluttabile percorso attraverso lo spegnimento della risonanza omeostatica, verso la consueta disaggregazione.

Tutti gli organismi viventi posseggono probabilmente forme di coscienza della propria esistenza, in modi più o meno complessi. Per alcuni di loro ciò significa anche l’elaborazione concettuale del proprio finevita.

Per quanto ci riguarda una parte di noi la conclude con la rimozione,  un’altra con spiegazioni superstiziose e conseguenti comportamenti irrazionali, un’altra con interpretazioni metafisiche senza alcuna base o logica, l’ignoranza determina il comportamento di altri, certuni utilizzano strumenti filosofici, o genericamente logici, errati, altri ancora si lasciano guidare dalle proprie mutevoli emozioni. Non sono mancati però coloro che hanno guardato nella giusta direzione.

Il fatto è che non c’è nessuna spiegazione da dare, né complessa né di difficile comprensione. Il finevita è (come l’inizio) una casuale de-configurazione di un aggregato di atomi e di materiale senza altro significato che questo. Quello che ci abbiamo costruito intorno è creato dalla nostra mente durante il periodo di vita e non è utilizzabile prima e dopo di essa. Come altri nostri comportamenti naturali è frutto del nostro (e degli altri esseri viventi) spirito di conservazione. Possiamo dire quindi che il finevita non esiste, per motivi diversi, prima, durante e dopo il breve periodo di esistenza in vita. Prima e dopo non c’è perché manca una mente cosciente, durante non c’è perché sarebbe una contraddizione in termini. Durante la vita, quando la omeostasi è attiva nel nostro organismo, del finevita esiste solo la (forse spiacevole) aspettativa. E’ questa pertanto che occorre e conviene rimuovere. Tutto il resto è fuffa, e magari spesso dolosa.

Molti che hanno riflettuto a lungo hanno cercato di esprimere la propria idea a questo proposito; solo alcuni giungendo a conclusioni corrette. Vediamoli.

Gli antichi Egizi e i Persiani seguaci dello Zoroastrismo sostengono l’esistenza di forme di resurrezione e di immortalità dell’anima con le conseguenti scelte morali e di vita: affascinanti, ma campate in aria e poco utili.

Pensatori del mondo orientale del VI secolo a.C. come Lao Tzu, fondatore del Taoismo con il famoso testo Tao Te Ching, oppure Confucio e Budda considerano il finevita come un processo naturale su cui riflettere, da accettare con serenità in sintonia con l’universo, sottolineando l’importanza della vita virtuosa e rispettosa delle tradizioni. Ci insegnano molto nella condotta di vita, ma non ci danno complete risposte alle nostre domande.

Nell’antica Grecia anche Esiodo (VIII sec. a.C.), la cui visione della realtà era ovviamente segnata dalla cultura e religione arcaica, descrive la morte come evento inevitabile e triste che dobbiamo affrontare con una vita rispettosa degli dei. Analogamente in una visione ciclica della vita, nel VI sec. a.C., Anassimandro e Anassimene vedono la morte come un ritorno all’origine e parte del ciclo naturale dell’esistenza.

Nel V secolo a.C., Parmenide considera la morte come cambiamento, illusione e apparenza essendo la realtà immutabile, mentre secondo Eraclito la vita e la morte sono due aspetti di un’unica realtà in costante mutamento.

Più interessante è Anassagora (V sec. a.C.) ad introdurre il concetto di una realtà eterna ed indistruttibile e la morte come una trasformazione della materia, piuttosto che come una fine; per lui la morte è solo un cambiamento nella composizione degli elementi.

Con un grande salto in avanti Democrito (V e IV sec. a.C.), allievo di Leucippo di cui continua il pensiero, considera la morte come non altro che la fine di una struttura organizzata di quegli atomi che ci compongono. Non è qualcosa da temere perché non esiste coscienza dopo di essa. Analogamente per Epicuro (IV e III sec. a.C.), atomista anche lui, la morte non è nulla di cui preoccuparsi, perché quando siamo vivi la morte non c’è e quando lei c’è non ci siamo più noi. La paura deriva dall’ignoranza e dalla superstizione. Dobbiamo vivere nel presente cercando di raggiungere la felicità e la tranquillità attraverso la moderazione e la saggezza. Da loro, secoli dopo, ha imparato Lucrezio (I sec. a.C.) per il quale la morte non è qualcosa da temere perché come il corpo anche l’anima, costituita da atomi (stavolta più leggeri), è mortale e si dissolve; si tratta però di destrutturazione, perché gli atomi continuano ad esistere. Anche per lui la paura deriva solo dall’ignoranza: occorre perciò vivere una vita virtuosa e non lasciarsi dominare dall’irrazionale.

Secondo Protagora (V sec. a.C.) l’uomo è la misura di tutte le cose e quindi, enfatizzando la relatività della verità e della conoscenza, ritiene la morte come un evento soggettivo, personale e individuale.

Socrate (V sec. a.C.) infine dice che non sa che cosa la morte sia, ma non ne ha paura perché la filosofia lo prepara ad essa.

Purtroppo le idee dei grandi Pitagora (VI sec. a.C.) e Platone (V e IV sec. a.C.) sull’argomento sono completamente segnate e falsate da quegli aspetti ideologici provenienti dalla parte mitica e religiosa della cultura greca, mentre, in modo più interessante, Aristotele (IV sec. a.C.) afferma che sì l’anima è immortale, ma solamente nel senso che le sue attività intellettuali lo sono e non altro.

Anche da Cicerone (I sec. a.C.) ascoltiamo sermoni sull’immortalità dell’anima, ma ne ricaviamo poco che non sia già enfatizzato nella cultura romana del suo tempo; viene il dubbio, conoscendolo come politico scaltro, che ci creda davvero.

Secondo Seneca (I sec. d.C.) il saggio deve vivere quanto deve, non quanto può. Quel che importa non è morire presto o tardi, ma importa morire bene o male, e quindi fuggire il pericolo di vivere male. Anche Marco Aurelio (II sec. d.C.) sostiene la morte come un evento naturale, inevitabile, da non temere perché parte della vita e dell’ordine delle cose; inoltre, diversamente da altri, ritiene che essa possa essere anche una liberazione dalle sofferenze e dalle preoccupazioni della vita. Con loro gli stoici cominciano ad ideologizzare l’indagine filosofica, specie quando a differenza degli epicurei sostengono che l’universo abbia una base razionale e che ogni evento abbia la sua giustificazione.

Purtroppo a partire dal terzo e quarto secolo dopo Cristo, la forte influenza delle nuove religioni, delle vecchie superstizioni, dell’idealismo e delle ideologie trascendenti il mondo fisico, unitamente ad una rinnovata abitudine alla falsificazione storica degli eventi, hanno drogato e condizionato le menti dei pensatori (sia che ne fossero seguaci come i Padri della Chiesa sia oppositori come ad esempio Giordano Bruno) a tal punto da cancellarne i possibili contributi alla riflessione sul nostro tema. Raramente chi riflette sulla realtà delle cose riesce a non farsi influenzare da questa pandemia. Questo oscurantismo mentale, operante per secoli, è incredibilmente tuttora presente.

A partire dal secolo sedicesimo, in rari casi, ci si imbatte comunque in interessanti personalità.

Tra i primi Michel de Montaigne (XVI sec. d.C.) riesce a risorgere dalle rovine di questo periodo, impostando le basi per una rinascita filosofica, anche senza contrastare rumorosamente il mondo che ha ancora intorno. Secondo lui la paura della morte deriva (nuovamente) dall’ignoranza e dall’errore; essa va sì accettata con serenità, dopo aver vissuto ogni momento con consapevolezza e autenticità, ma correggendo (come fa lui operosamente) quanto di sbagliato vediamo o ascoltiamo intorno. E lo fa con successo.

Giambattista Vico (XVII e XVIII sec. d.C.) fa leva sulle sue concezioni di filosofia storica per giungere ad un visione della morte legata alla storia dell’umanità; il finevita è un elemento fondamentale della condizione umana e rappresenta il termine dell’esperienza individuale, ma è superabile attraverso la memoria storica perché le azioni e la cultura degli uomini possono sopravvivere nelle successive generazioni (Aristotele?).

Una vera rottura avviene con il filosofo e prete cattolico francese Jean Meslier (XVII e XVIII sec. d.C.), che, con idee radicali per il suo tempo, rivela una rinnovata visione materialista ed atea. Egli sostiene che la paura e le credenze nell’aldilà siano utilizzate per controllare e manipolare le persone e propone invece nel presente la giustizia sociale e la felicità umana. Ha nascosto se stesso e la sua opera (Il Testamento) durante tutta la vita (morì nel 1729), celandone infine tre copie manoscritte, perché almeno una sopravvivesse alla censura postuma. E riuscendovi, in quanto fu poi copiata clandestinamente e diffusa ad alto prezzo. Voltaire ne trovò una copia e la stampò nel 1762, ma modificandola colpevolmente. Il re di Prussia Federico II se ne procurò una copia originale e la salvò dalla distruzione ordinata dalle autorità nel 1775.  L’opera di Meslier è stata comunque da allora tenuta oscurata nei secoli seguenti e lo è tuttora.

Similmente Jean Jacques Rousseau (XVIII sec. d.C.), che sostiene che la morte sia un ritorno alla natura, la vede come una liberazione dalle costrizioni sociali e dalle ingiustizie della società.

Molto dopo anche Arthur Schopenhauer (XIX sec. d.C.) vede la morte come una liberazione dalla sofferenza e dal dolore della vita (Marco Aurelio?), mentre Friedrich Nietzsche (XIX sec. d.C.) , dopo aver proclamato la morte della divinità e della morale, crede che accettare la morte e la finitezza possa aiutare a vivere più autenticamente.

Secondo Charles Darwin (XIX sec. d.C.) la morte è un elemento positivo, essenziale per la selezione naturale e favorevole all’evoluzione delle specie.

Albert Einstein (XX sec. d.C.) ha una visione della morte influenzata dalle sue idee sulla natura dell’universo. Crede che la morte sia la fine della vita individuale, ma anche che l’energia e la materia siano immortali; vede l’universo come entità unica e interconnessa e che la morte non ne sia una separazione definitiva. Einstein non teme quindi la morte, considerandola come un processo naturale e inevitabile.

Nel XX secolo, moderni pensatori come Jean-Paul Sartre e Martin Heidegger considerano il finevita un elemento fondamentale dell’esistenza e che gli conferisce significato. Invece postmoderni come Jacques Derrida e Michel Foucault lo vedono come un concetto culturale e storicamente determinato.

Tra i viventi il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, con un approccio positivo, enfatizza che la morte è parte integrante della vita: la consapevolezza della mortalità può aiutare a vivere più autenticamente, influenzare il significato che diamo alla vita; ci spinge a riflettere sulla nostra esistenza. Per lui la paura del finevita è legata soprattutto alla perdita del controllo.

Attualmente infine scienziati come Peter Singer o  Julian Savulescu analizzano gli aspetti etici e sociali collegati al fine vita, oppure come Sam Harris o Christof Koch ne studiano, per esempio, le connessioni etiche con le tecnologie mediche e la relazione con la coscienza di sé. Problematiche coinvolgenti, ma lontane da quello che ci interessa qua.

Ampliando la visuale, la nostra personale fine ha probabilmente poco significato in confronto a quella della specie, ultima a cui apparteniamo. Come già visto, una famiglia o un genere di organismi viventi sul pianeta che sia giunto a questo limite di ultima specie, anche per più cause, è inevitabilmente prossimo alla scomparsa.

Noi umani vi siamo già stati molto vicini nel passato, circa novecento mila anni fa, quando poche centinaia di individui superarono incredibilmente un collo di bottiglia evolutivo. A causa di condizioni ambientali molto severe, si arrivò ovunque alla scomparsa delle specie umane e sopravvisse solamente ciò che forse divenne poi l’uomo di Heidelberg.

Attualmente le potenziali cause di estinzione della specie sono anche altre e molteplici: di molte ne siamo responsabili e non abbiamo gli strumenti per farvi fronte.

Nel passato sono state individuate altre cinque grandi estinzioni, che hanno causato la scomparsa ogni volta di più del 70% di organismi viventi. L’ultima in ordine di tempo, 66 milioni di anni fa circa, sembra sia stata causata dall’impatto di un asteroide di circa 20 km di diametro nel golfo del Messico; in quel caso il fenomeno dell’estinzione si è protratto per circa 10 000 anni ed ha portato alla scomparsa dei dinosauri non aviani e di molti altri grandi tetrapodi. La più devastante estinzione è stata però la terza, circa 250 milioni di anni fa, detta la Grande Moria, quando sono scomparsi più del 90% degli esseri viventi, compresi stavolta anche gli insetti. Allora un grande ruolo tra le cause lo hanno avuto le ondate di vulcanismo, gigantesche spaccature aperte sulla superficie che hanno eruttato lava per migliaia di anni e che hanno innescato altri gravi cambiamenti come l’anossia degli oceani, la riduzione dello scudo di ozono e incendi diffusi ovunque; questo pare per circa 60 000 anni.

Alcuni studi sostengono che sia in corso la sesta estinzione di massa dovuta alla nostra presenza e attività, affermano che è in atto già da alcuni secoli e riguarda sia organismi vegetali che animali. Dal 1500 sarebbero scomparse dal nostro pianeta tra il 7,5 al 13 per cento delle specie conosciute e l’attuale tasso di estinzione è stimato essere tra le 100 e le 1000 volte più alto rispetto al tasso normale di estinzione.

Ogni estinzione di massa è diversa dalle altre, ma la sesta è diversa perché è causata, direttamente o indirettamente, da una singola specie. E’ probabile comunque che, quando avverrà la nostra scomparsa, le altre forme di vita ne saranno avvantaggiate e la biosfera, per quanto fortemente danneggiata, potrà svilupparsi nuovamente in altre direzioni, per il tempo forse ancora lungo nel quale la Terra sarà per loro abitabile.

Tutto questo naturalmente ha senso solo fin tanto che esisterà il nostro pianeta, il nostro sistema solare, la nostra galassia e l’intero Universo, le cui componenti, con velocità sempre più accelerata, si stanno allontanando le une dalle altre, raffreddandosi gradualmente e dirigendosi verso una abissale fredda solitudine.

Secondo un recentissimo ricalcolo della durata dell’Universo di un team di studiosi della Università di Radboud di Nimega nei Paesi Bassi, basandosi solamente sul processo legato alla radiazione di Hawking, la fine è prevista giungere non prima di un numero di anni pari ad 1 seguito da 78 zeri; moltissimi di più rispetto agli 8 miliardi di anni quando il sole si espanderà fino ad inglobare il nostro pianeta e al miliardo di anni quando la vita sulla terra sarà comunque diventata impossibile sempre per colpa della nostra stella.

In un aforisma. La morte di un organismo che ha imparato a vivere, non esiste per lui stesso, ma solamente per gli altri che gli sopravvivono; questi però, se vogliono, ne possono raccogliere la memoria, quanto da lui fatto e la sua mente estesa distribuita nella realtà. Altra cosa è quella dell’Universo.

 

E’ istruttivo terminare questo paragrafo copiando parte delle ultime pagine del volume “Finitudine” del filosofo e scienziato Telmo Pievani.

“Non esiste spettacolo più bello di un’intelligenza alle prese con una realtà che la supera. Lo spettacolo dell’orgoglio umano, faccia a faccia con l’assurdo, è ineguagliabile. Proprio l’inumanità del mondo rende grande il Prometeo che alberga in ogni uomo. Il suo unico errore può essere la dismisura, ma nulla vale la rinuncia a questa sfida. Magnifica, dunque, l’intelligenza che rischiara questo deserto, che conosce le proprie virtù e le spiega, che morirà con il corpo, ma lo sa, e ne trae la sua libertà. L’animo umano affronta l’infinito grazie alla propria libertà di ricerca: vuole sempre andare oltre, “fuori dalle mura di questo mondo (Lucrezio)”.

Sotto il segno di questa inquietudine conoscitiva ed etica, lo scienziato assurge ad autentica figura dell’assurdo. La ragione scientifica, infatti, non è solo un fecondo strumento di indagine e di pensiero, ma anche di rivolta. Anzi la ricerca scientifica è la forma più elevata di rivolta contro l’incoerenza dell’universo. La mossa è dirompente: non ci accontentiamo più di consolarci con miti di dei, eroi e giganti, ma alziamo lo sguardo al mondo per quello che è. Lo sforzo indefesso di capire l’universo è tra le poche cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, in cui solitamente si attarda, conferendole un po’ della dignità della tragedia……..

Anche grazie alla scienza, la nostra contingenza e la nostra finitudine non implicano né nichilismo né cinismo, ma, al contrario, impegno, ricerca, solidarietà umana, rivolta contro ogni padrone e lotta per la giustizia, una vita vissuta appieno in ogni istante. Homo sapiens, il cacciatore nato del senso, capisce che un senso non c’è. Allora decide di vivere fino in fondo il non-senso e di sobbarcarsi, felice, le fatiche di Sisifo della scienza, dell’etica e della convivenza umana. Di sorridere, perfino, dinanzi all’assurdità del proprio destino. Di godersi lo spettacolo della natura. Non ripiega su se stesso, insomma, ma si apre al mondo e agli altri.

Anche se ognuno di noi finirà, anche se la vita finirà, anche se la Terra finirà, anche se le galassie si raffredderanno, anche se l’universo in un gran botto finirà, anche se tutto cadrà in una notte perpetua, nulla potrà cancellare il fatto che, in un angolo marginale del cosmo, è esistita una specie in grado di comprendere la propria finitudine e di sentirsi libera di sfidarla”.

                                                                                                   

10. La risposta.

Hai combattuto la disinformazione, da quella sulla radioattività della materia e sul radon a quella di chi teme gli altri e le idee, hai cercato di fuggire i soggettivismi di specie, le ideologie, le superstizioni e tutte le colpevoli irrazionalità intorno alla realtà. Così sei arrivato a vedere come stanno le cose. Il loro inizio e la loro fine. L’Universo che ci sta intorno è una materia complessa, ma in fondo semplice nella sua intrinseca uniformità. Non ci sono salti o discontinuità né fisiche né ontologiche, queste ultime sono nostre creazioni mentali. Categorie che ce ne semplificano la lettura e distorcono la conoscenza, ma rendono così più funzionale la nostra prassi. La lista delle false identità è sorprendentemente lunga e un giorno magari concorderai nell’aggiungervi anche quella che chiami vita.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Revisionato giugno 2025